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Violenze, ragazzine nel mirino. “Ma serve intervenire prima”

La più efferata sabato pomeriggio, a Castelbelforte, dove una tredicenne è stata attirata in un giardino pubblico da due compagne di classe di terza media, circondata, buttata a terra e colpita ripetutamente con un paio di forbici portate appositamente «perché se lo meritava», avrebbe ripetuto agli inquirenti increduli la più agguerrita delle “bulle”. Cosa abbia scatenato tanto odio, sarà ricostruito nelle prossime ore dalle indagini disposte dal Tribunale dei minori di Brescia: forse una lite per un ragazzino conteso, forse una rivalità scolastica (visto che la vittima è un’alunna modello). Dispute che hanno trovato gli adulti, dai genitori delle ragazze coinvolte (tutte italiane, tutte di buona famiglia) agli insegnanti, del tutto impreparati: nessuno sapeva, nessuno aveva mai intercettato malesseri, nessuno poteva immaginare che ci si potesse spingere fino a tanto. Unica certezza: le lesioni gravissime sul corpo e la testa della vittima, che in ospedale a Verona ha subito un intervento di 8 ore ed è in via di miglioramento, ma che ha perso moltissimo sangue in quello che sarebbe potuto finire in omicidio senza l’intervento provvidenziale di una passante. Per fermare l’aggressione la donna è dovuta intervenire fisicamente, tanto cieca era la furia con cui la tredicenne veniva colpita.
Castelbelforte, che è un paesone di poco più di 3mila abitanti in cui si conoscono tutti, o quasi, è una comunità scossa. Il sindaco, Massimiliano Gazzani, è stato costretto a intervenire personalmente sulla pagina Facebook del comune per rassicurare i suoi concittadini sulle condizioni della 13enne ferita («è fuori pericolo, e questo è quello che conta), ma anche per placare gli animi, vista la mole di messaggi e commenti durissimi sull’accaduto, raccomandando a tutti di «esimersi dal formulare commenti fuori luogo o giudizi sommari perché l’arma dei carabinieri sta già compiendo le varie indagini». La sensazione è che servirà tempo, e aiuto, per capire cosa sia successo e perché nessuno sia intervenuto prima, evitando che si arrivasse a tanto. Il punto, d’altronde, è proprio questo – spiega lo psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini, che da trent’anni ormai si occupa di adolescenti -: l’analfabetismo emotivo di cui soffrono loro, gli adolescenti (maschi e femmine non fa più alcuna differenza), incapaci di esprimere a parole la loro rabbia, le loro sofferenze, il loro disagio e per questo spinti ad agire, da soli o in branco, contro se stessi o contro gli altri. E poi l’analfabetismo nostro, del mondo adulto, a sua volta del tutto incapace di vedere quella rabbia, quelle sofferenze e quel disagio». Con gli adolescenti, insomma, non si parla, «salvo poi, però, trovarci angosciati da fatti simili, o dal tempo che trascorrono sul telefonino, o dagli incidenti stradali che sempre più spesso coinvolgono giovani e giovanissimi e che occorrerebbe ricondurre allo stesso disagio, alla stessa sofferenza: perché così come si aggredisce una coetanea a colpi di forbici, sapendo che “mal che vada morirà, così si guida a cento all’ora di notte per le strade delle città ripetendosi che “sì, che sarà mai, mal che vada morirò”». Un mondo di dolore inespresso, che secondo Lancini non ha la sua causa nella pandemia o nell’uso dei social network, «ma nel semplice fatto che i nostri figli non trovano più riferimenti significativi negli adulti, troppo fragili e concentrati su se stessi».
Quel mondo adulto ad Arezzo – dove due settimane fa una bambina di appena 11 anni è stata aggredita da un numeroso gruppo di minorenni (circa una trentina fra maschi e femmine) ha deciso di mobilitarsi: in più di 300 sono scesi per le vie della città tra associazioni di quartiere, gruppi di mamme, insegnanti e studenti per dire basta alle violenze e al bullismo. «Difendere è ok, prevenire è meglio» si è letto su qualche striscione. Occorre trovare la strada per farlo, in fretta.